La distribuzione della ricchezza in Europa: dei dati che sorprendono

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Il Wall Street Journal ha dato pubblicità a uno studio della Banca Centrale Europea cui bisogna fare MOLTA attenzione, perchè offre una prospettiva diversa rispetto alle opinioni abitualmente espresse circa la crisi europea e le sue possibili soluzioni: 

http://online.wsj.com/article/SB10001424127887323820304578412540882466844.html?mod=fox_australian

Lo studio quantifica la consistenza patrimoniale media delle famiglie nei paesi dell’Eurozona e  non so se sia stato ripreso dalla stampa italiana. Immagino di no, anche perchè sfida il «bon ton». Ma in economia è buona pratica non lasciarsi trascinare dalle proprie elucubrazioni, spesso pesantemente condizionate da desideri e obiettivi ideologico / politici.  

Nel nostro ebook «Italia e Spagna: destini paralleli? – L’insopportabile leggerezza dell’essere latini nel mondo globalizzato» (http://www.lospaziodellapolitica.com/2012/11/italia-e-spagna-destini-paralleli-linsopportabile-leggerezza-dellessere-latini-nel-mondo-globalizzato/) avevamo dimostrato come l’immagine superficiale dei latini «spreconi» a fronte dei nordici «virtuosi» andasse in parte rivista.

Adesso è d’uopo attaccare la cecità della politica tedesca e sottolineare l’impoverimento progressivo dei paesi mediterranei. Entrambe cose parzialmente vere, ma che vanno precisate. E a questo servono i dati, che è sempre meglio non trascurare.

Lo studio approfondisce lo stato patrimoniale delle famiglie dell’Eurozona, un dato che completa quello sui redditi pro capite (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-20062012-AP/EN/2-20062012-AP-EN.PDF) che, come noto, vede il Lussemburgo di gran lunga in testa con un reddito procapite nel 2011 di 274 a fronte del 100 della media comunitaria. Molto più contenuti gli scarti degli altri paesi rispetto alla media, con l’Olanda a 131, l’Austria a 129, l’Irlanda a 127, Svezia 125, Danimarca 125, Germania 120, Belgio 118, Finlandia 116, Gran Bretagna 108, Francia 107, Italia 101, Spagna 99, Cipro 91, Slovenia 84, Malta 83, Grecia 82, Repubblica Ceca 80, Portogallo 77, poi tutti i paesi dell’est fuori dall’euro fino alla Bulgaria con 45% del reddito medio comunitario per persona.

I dato reddituali permettono d’indicare che, con l’eccezione del Lussemburgo, la cui situazione è eccezionale per vari motivi, gli stati dell’Eurozona sono ragionevolmente distribuiti in un intervallo da 131 a 77, con Grecia e Portogallo in fondo, il che significa che la convergenza esercitata dalla poltica d’integrazione europea nei decenni scorsi è stata reale, non fittizia. Non si sono arricchiti alcuni a scapito di altri, ma anzi le differenze si sono ridotte, dato che esse erano MOLTO più ampie prima dell’integrazione europea e dell’euro.

Lo studio della BCE viene adesso ad apportare dei dati complementari molto importanti: infatti, prendendo solo alcuni esempi più significativi, conclude che le famiglie tedesche e austriache sono MOLTO MENO patrimonializzate di quelle italiane e spagnole (i loro patrimoni, che comprendono case, macchine, terreni, titoli e altre forme di risparmio. sono parecchio inferiori a quelli dei paesi mediterranei attualmente in difficoltà). L’unico dato che coincide totalmente è la posizione confortevole del Lussemburgo, che primeggia anche qui, con 700000 euro di patrimonio medio per famiglia.

Invece, i dati degli altri paesi appaiono rovesciato tra nord e sud rispetto a quanto normalmente si crede.

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Il dato sembra paradossale, ma riflette la diversa propensione verso la proprietà immobiliare in queste due culture. Nei paesi mediterranei si tende a essere proprietari, magari indebitati, nei paesi di lingua tedesca no (anche per diffidenza notoria nei confronti dell’indebitamento, che in tedesco si dice SCHULD, che vuol dire anche COLPA). Si noti anche la percentuale di famiglie proprietarie della propria casa, molto più bassa nei paesi di lingua tedesca che in quelli mediterranei. La Francia sta a mezza strada tra i due casi, da buon «paese di mezzo» che è. Questo fa sì che le famiglie tedesche e austriache dispongano di meno capitale rispetto a quelle latine, anche se di maggiori redditi. Gli stati latini sono più indebitati di quelli germanofoni (anche se la Germania non scherza nemmeno lei come debito pubblico).

Conseguenze, molto importanti nella congiuntura attuale:

1. Le famiglie dei paesi «ricchi» dell’eurozona non stanno così meglio rispetto a quelle dei paesi «indebitati» della zona euro come comunemente si crede. Questo spiega buona parte delle diffidenze degli elettorati di quei paesi nei confronti dell’idea di garanzie di bilancio permanenti nei confronti dei paesi più indebitati, non è solo la «follia cieca» della Merkel.

2. La casa come bene – rifugio, concetto ben noto in Italia, è una delle chiavi che possono permettere alle famiglie di passare con meno danni questa fase complessa (e la pressione in Spagna sui «desauhucios» s’inserisce in questa logica, chi perde oltre al lavoro la casa è il vero sconfitto della crisi).

3. Questo dato prepara il terreno a un’interpretazione della strategia d’affronto della crisi di cui si parla sempre di più in Europa: che siano le famiglie dei paesi indebitati, con parte dei loro patrimoni, a ripianare i debiti eccessivi dei loro paesi, piuttosto che o prima di mutualizzare il debito (MEDE o Eurobonds).

4. il cosiddetto «sequestro» dei risparmi dei ciprioti non tiene del conto del fatto che, grazie allo status incongruo di paradiso fiscale in seno all’eurozona, i ciprioti hanno per anni potuto accumulare capitali a rendimenti molto superiori a quelli offerti ai risparmiatori di altri paesi e in valuta forte e garantita. La validità del concetto di «sequestro» nei loro confronti va rivista alla luce dei meccanismi di formazione dei loro capitali. Secondo i dati disponibili, le famiglie cipriote dispongono di molti più beni di quelle tedesche, anche se il loro paese è più indebitato e i loro redditi minori. Paradossale, no? Certamente sintomo d’uno squilibrio da correggere (al di fuori della zona euro, i ciprioti non avrebbero mai potuto accumulare tali capitali con una loro valuta nazionale). E ricordiamo che è stato introdotto un tetto di 100000 euro per proteggere i piccoli risparmiatori. I ciprioti sono stati sino alla crisi i primi beneficiari dell’euro, non è che adesso vengano «derubati».

4. la crisi cipriota, pur sui generis, può considerarsi una prima avvisaglia di tale approccio. Non è detto che tale meccanismo si ripeta nei confronti d’Italia e Spagna, ma la tentazione ci sarà. E non sarà un ragionamento del tutto peregrino.

Poi potremo continuare a disquisire sulla banalità della «crescita che deve ripartire», ma la situazione economica europea è più variegata di quanto non sembri, e gli squilibri non sempre sono esattamente come vengono descritti.

 

Stefano Gatto, 12 aprile 2013.

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