MPS: L’Italia scopre Siena, e Siena scopre di non essere così diversa

Se intervengo sulla vicenda MPS, elevata ai primissimi posti della cronaca italiana in questi giorni, non è per mettere in atto l’ennesima ricostruzione della vicenda in tutti i suoi complicati dettagli tecnici, disponibili in abbondanza in rete, o per darne una interpretazione politica (non c’è dubbio che l’accelerarsi di questa vicenda abbia molto a che vedere con il clima elettorale, dato che i problemi del MPS erano ben noti da tutto l’anno scorso e che le difficoltà derivanti dalla malaugurata acquisizione di Banca Antoveneta erano anch’esse note da tempo).

M’interessa invece fare qualche considerazione su alcuni aspetti della vicenda MPS che hanno a che vedere con l’evoluzione del ruolo della finanza, la perdita progressiva del legame con il territorio di riferimento dovuta alla sempre crescente finanziarizzazione e le conseguenze della crisi economica globale sullo specifico modo italiano di gestire finanza e politica. E per finire, anche sugli immotivati attacchi alla senesità, ironici ma talvolta anche cattivi con cui si ha l’occasione d’imbattersi in questi giorni in cui si sono aperte le gabbie, e circola di tutto.

Per chi come me è cresciuto a Siena, il «Monte» è molto più d’una banca: è uno dei punti fermi della senesità, una delle pietre miliari della sua storia, nonchè ovviamente, il centro della sua vita economica, fondata su banca, turismo del buon vivere e università. Da ragazzo, entrare al «Monte» era la prospettiva sognata da tanti, l’equivalente di quello che a Roma è entrare in un ministero o al nord-est creare un’impresa.

L’espressione «Monte dei Paschi, banca fondata nel 1472», t’accompagna a Siena ogni momento, e il rapporto della città con la «sua» banca non richiede neanche di particolari sforzi pubblicitari, tanto il Monte è presente in ogni dove, in qualsiasi aspetto della vita cittadina.

Solo qualche anno fa, il Monte era una delle banche più floride d’Italia: non la più capitalizzata, nè la più estesa, ma certamente una delle più solide. Graniticamente ancorata sul territorio senese, pur disponendo di un’apprezzabile rete nazionale e anche d’una certa presenza estera. Il Monte è sempre stato gestito in un’ottica politica, ma da una politica legata al territorio, attenta ai suoi bisogni e a mantenere delle dimensioni realistiche.

Quindi, quando in questi giorni si prende la vicenda MPS come l’esempio per antonomasia dei guasti della commistione tra politica e finanza, si semplifica un po’ troppo: fino a che gli eccessi della finanziarizzazione non hanno fatto presa anche sul Monte, questa banca era stata sì gestita dalla politica, ma questo non aveva comportato necesariamente dei disastri.

L’acquisizione di Banca Antoveneta dal Santander rispose già a un’ottica diversa, quella di rafforzare la presenza in zone dove MPS era presente, ma non in forma massiccia. È un primo allontanamento dalla logica territoriale del Monte, ma in fondo legittimo. In un’epoca di grandi concentrazioni finanziarie, una tentazione cui MPS aveva sino ad allora in buona parte resistito, aveva senso rafforzare la presenza della banca sul territorio nazionale. Quello che non ebbe senso fu il prezzo pagato, sia servito a finanziare tangenti o no.

Ma finchè le vacche erano grasse, cioè finchè non esplose la crisi finanziaria globale, non era difficile nascondere i propri errori di gestione dietro l’emissione infinita di titoli: l’ha fatto MPS, l’hanno fatto tantissimi altri operatori finanziari del mondo intero nell’epoca della finanza facile (e in dimensioni infinitamente maggiori rispetto alla banca senese!). Finchè trovavi acquirenti per i tuoi titoli, perchè non emetterne di nuovi?

È lo stesso meccanismo mediante il quale per anni l’Italia ha espanso il proprio debito pubblico: anzichè prendere decisioni, s’ampliava la spesa finanziando un po’ tutto, tanto i mercati lo assorbivano.

Finchè il giocattolo non si è rotto.

Il fondo Alexandria, l’operazione Santorini e altre non sono quindi un’anomalia del MPS, perchè «manovrato dai politici», ma il risultato di un comportamento del tutto abituale nel mondo della finanza nell’ultimo decennio.

Nei primi anni della crisi globale, si ricorderà che la versione del governo Berlusconi era che l’Italia non era toccata dalla crisi, perlomeno nei suoi aspetti finanziari. Nel mio ebook Italia e Spagna: destini paralleli? (http://www.lospaziodellapolitica.com/2012/11/italia-e-spagna-destini-paralleli-linsopportabile-leggerezza-dellessere-latini-nel-mondo-globalizzato/) analizzo la situazione dei sistemi bancari dei principali paesi dell’UE, per constatare che in effetti quello italiano è rimasto relativamente immune alla crisi: le banche italiane erano molto meno esposte alla «junk finance» rispetto alle loro corrispettive britanniche, irlandesi, francesi, tedesche e spagnole. I dati sui fondi destinati dai rispettivi governi a salvataggi bancari nel 2008 – 10 sono significativi e sorprendenti (e relativizzano l’attuale operazione chiamata Monti – bond): «il Regno Unito ha speso 850.2 miliardi di euro tra schemi di garanzia, di ricapitalizzazione e interventi individuali. La Germania 587.6 miliardi; l’Irlanda 455.6 miliardi; la Francia 351.5 miliardi; la Spagna 329 miliardi; l’Olanda 256.2 miliardi; l’Austria 90.5; l’Italia solo 20 miliardi» (op.cit.) Al dato spagnolo dovremmo poi aggiungere il successivo fondo europeo, 62 miliardi.

La finanza italiana era quindi relativamente sana, e intervenire adesso per sostenere il MPS con 3.9 miliardi, pur essendo una cifra elevatissima in sè e a carico dei contribuenti, è comunque totalmente in linea con quanto fatto da tutti i governi europei in questi anni e certamente un male minore rispetto a lasciar fallire la banca. Certo, fa specie sentir parlare di certe cifre, ma è errata la logica tanto in voga in questi mesi: salvare le banche per mettere sul lastrico i cittadini. La caduta di una banca delle dimensioni del MPS avrebbe conseguenze rovinose non solo sull’economia locale, ma su quella nazionale, e creerebbe problemi enormi a tutti i clienti di MPS, che sono perlopiù famiglie e piccole aziende, del tutto incolpevoli degli errori di gestione dei vertici della banca che hanno portato a questa situazione.

Il problema di MPS non è stato tanto di natura politica, ma piuttosto di deriva della finanza dal suo scopo originale (facilitare il potenziamento della vita economica di un territorio specifico) a uno deviato (aggettivo più adatto a definire la stuazione che «derivato»): quello di alimentare la spirale infinita della finanza artificiale, creando una crescita fasulla ed illusoria.

Non è nemmeno l’entità dei fondi derivati scoperti sinora il principale problema: con un piano di ristrutturazione e un notevole dimagrimento MPS ne verrà fuori, ma questo sostanziale tradimento della propria ragione sociale il vero problema. Non è successo solo a Siena, e non è colpa di Siena.

Siamo in periodo pre – elettorale, e sarebbe ingenuo ignorare che ovviamente il PCI – DS – PD ha sempre controllato completamente la vita politica senese: lo sanno anche i colonnini della piazza. È ovvio che, cresta su Antoveneta o no, le autorità locali presenti nella Fondazione o non hanno saputo vedere o hanno guardato dall’altra parte.

È chiaro che il sistema Siena era fondato su questa complicità tra Monte, PCI – PD e autorità locali molto disciplinate: ma ripeto, fino alla deriva finanziaria dell’ultima tappa quel mix aveva funzionato eccome, non è quindi tanto un problema d’inquinamento della politica quanto di scadimento della politica e della finanza quello che ha portato il MPS in questa situazione.

Siena è una città molto particolare, fiera e cosciente come poche altre della propria storia, della propria diversità e della propria originalità: una fierezza nella quale mi riconosco completamente, anche se ho trascorso in giro per il mondo buona parte della mia vita (pur tornando spesso a Siena, la terra in piazza è un richiamo cui non si può resistere). Tale orgoglio per le proprie radici è spesso preso per alterigia ed arroganza, come del resto riflettono anche tante reazioni ironiche di questi giorni, che buttano dentro il calderone Monte la città intera, il Palio, le sue squadre.

Chi ha governato Siena e le sue istituzioni ha commesso in questi anni molti errori, d’azione e soprattutto d’omissione, ma se Siena oggi ha scoperto di non essere così diversa, non dimentichiamo che i senesi sono in gran parte vittime di questa vicenda, nella quale vedono messi in pericolo i loro risparmi, i loro progetti, il loro modo di vita.

È poi duro il contraccolpo per l’inevitabile ridimensionamento delle attività della Fondazione MPS, che anzichè vigilare sul comportamento dei vertici della banca come da sua vocazione si è lasciata da essi trascinare nello snaturamento di una tradizione bancaria che durava da secoli. E che ora pagano le contrade e Siena tutta. Ma il Palio non ne soffrirà, come avventurano alcuni amanti del fare di tutta l’erba un fascio: sarà forse un Palio meno «ricco» in termini di retribuzioni ai fantini, ma non è affatto detto che sia un male. La festa in sè, autofinanziata dai senesi, rimarrà sempre al centro della vita cittadina.

Non dimentichiamo poi che l’ora tanto criticato sistema – Siena è stato anche capace negli anni di compiere scelte molto azzeccate e in controtendenza rispetto alle mode: l’avveniristica chiusura del traffico cittadino alle auto e anche agli autobus, presa già negli anni settanta, in anticipo rispetto ai centri storici del resto d’Italia; una pianificazione urbanistica attenta che non ha ammesso compromessi pur di mantenere la superba armonia formatasi nei secoli; la difesa attenta della tradizione paliesca mediante la formazione Consorzio per la Tutela del Palio di Siena, che ha evitato una deriva pubblicitaria della festa senese, e più recentemente, il rifiuto di trasformare l’aeroporto d’Ampugnano in ricettore per voli low –cost. Non si è fatto tutto male a Siena!

Semmai, si può imputare allo stesso sistema – Siena di non aver sfruttato gli ingenti flussi generati della banca per perseguire una maggiore diversificazione economica e non aver utilizzato megio il potenziale culturale della città, specie dell’importante Università, per farne un polo di concentrazione di attività scientifiche ad alto valore aggiunto, che avrebbero potuto fare di Siena un polo scientifico – tecnologico internazionale.

Era inevitabile che anche Siena, città così attenta a proteggersi, che ha sempre amato isolarsi un po’, fosse prima o poi colpita anch’essa dagli effetti della globalizzazione, che picchia duro. Tutti coloro che se ne sentivano estranei devono ricredersi, e reagire: a Siena, in Italia, in Europa.

Comunque, è proprio a Siena che Ambrogio Lorenzetti dipinse il Buon e il Cattivo Governo, secoli prima che venisse a raccontarcelo l’Economist. E Siena saprà leccarsi le ferite e ripartire: peccato che sia stato necessario uno shock di queste proporzioni, ma questa non è certo la fine della città. Il sistema – Siena va rivisto in certi suoi aspetti, ma probabilmente era proprio ora.

Stefano Gatto, 30 gennaio 2013.

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