ETA abbandona le armi

ETA ha appena realizzato l’annuncio che era ormai atteso da tempo: l’abbandono definitivo della lotta armata. Che valutazione se ne può fare: è finito per sempre il conflitto basco?

La successione degli eventi è stata molto rapida negli ultimi giorni: a San Sebastián si è tenuta tre giorni fa una polemica conferenza internazionale, con la partecipazione di varie personalità di spicco come Kofi Annan, Gro Harlem Brundtland, Bertie Ahern e Gerry Adams, ma senza la partecipazione dei governi spagnolo e basco, che ha formulato cinque raccomandazioni per la conclusione dell’annoso conflitto basco (http://www.elpais.com/elpaismedia/
/media/201110/17/espana/20111017elpepunac_3_Pes_PDF.pdf).

La ragione della conferenza, organizzata dal settore «abertzale» (indipendentista), ma che come detto non ha riunito tutte le parti del conflitto, era duplice: da una parte «internazionalizzare» il conflitto basco, un obiettivo che gli indipendentisti hanno sempre avuto e che il governo spagnolo ha sempre negato; dall’altro quello di creare le condizioni affinché la banda ETA annunciasse, una volta per tutte, l’abbandono definitivo della lotta armata, una mossa attesa da tempo dopo l’annuncio, a gennaio della tregua indefinita (vedasi mio anteriore pezzo http://www.lospaziodellapolitica.com/2011/01/la-pace-basca/).

Di fatto, la prima e principale raccomandazione di San Sebastián è stata proprio quella di chiedere a ETA l’abbandono definitivo delle armi come condizione necessaria per aprire un negoziato che, attenzione, dovrà portare solo sulle conseguenze del conflitto (1. consegna delle armi, 2. revisione del regime carcerario dei reclusi di ETA, questa una rivendicazione di lunga data del gruppo armato, che richiede che scontino la pena in carceri situate nei Paesi Baschi e 3.processo di riconciliazione). Questa formula parrebbe escludere l’apertura di negoziati sul tema dell’indipendenza o aprire spazio per concessioni di natura politica, anche se sarebbe stato meglio affinare il linguaggio della dichiarazione della conferenza per chiarire meglio questi punti.

Il fatto che ETA fosse ormai sconfitta era ormai evidente da tempo: la sconfitta è il risultato d’una repressione costante da parte dei corpi di polizia (coordinata anche con la Francia, a lungo base di ETA), dell’ormai unanime rigetto del metodo violento da parte della grande maggioranza della popolazione basca e la sterilità di un metodo che non aveva assolutamente il minimo senso in un contesto democratico.

Una componente essenziale di tale strategia d’asfissia della violenza è stata la legge sui partiti politici che, pur un po’ audace nella sua formulazione, ha permesso di evitare l’uso strumentale delle istituzioni politiche rappresentative a tutte le formazioni politiche indipendentiste che non avevano rotto i ponti con la banda armata (Harri Batasuna e tutte le sue successive reincarnazioni).

Grazie a questa legge, qualunque partito che candidasse personalità legate in qualche modo alla lotta armata ha visto le sue liste respinte: in questo modo, per ritrovare il loro posto nelle istituzioni basche, l’indipendentismo ha dovuto fare un passo più ambizioso, creando il nuovo cartello Bildu, che ha di recente unito la galassia indipendentista una volta legata alla banda con il partito indipendentista democratico Eusko Alkartasuna. Tale coalizione, avversata dal PP, che la considera anch’essa fiancheggiatrice di ETA, ha ottenuto un eccellente risultato nelle recenti elezioni municipali in diversi municipi baschi, tra cui San Sebastián, consolidandosi come una forza politica importante, con circa il 20% dei consensi tra gli elettori baschi (è da sempre il peso dell’indipendentismo nel panorama politico basco).

Nonostante il PP si rifiuti di riconoscere Bildu come forza legittima, è giocoforza ammettere che risulta assai arduo privare un 20% della popolazione di un paese democratico di rappresentanza democratica: giusto pretendere la rottura dei legami con il terrorismo, ma anche logico canalizzare il consenso di chi crede nell’indipendenza dei Paesi Baschi (Euskadi) verso le istituzioni democratiche, affinché sviluppi il proprio programma in quel quadro, e non fuori dalla legge e con metodi violenti.

Il metodo d’asfissia su più fronti (polizia, conformità con la legge delle liste di candidati) ha funzionato, ed ETA non aveva altra uscita che rinunciare per sempre alle armi.

Il processo non è però privo di contraddizioni: è chiaro che la breve conferenza di San Sebastián è stata prefabbricata, e che la partecipazione di personalità internazionali ha voluto mettere le istituzioni spagnole di fronte a un fatto compiuto. Al di là dell’artificiosità di questa successione di avvenimenti, credo che rifiutare un ruolo alle personalità di rilievo che hanno dato il loro appoggio al processo di pace sia un errore: l’importante era ottenere l’abbandono definitivo della lotta armata, e ben venga ogni contributo in quel senso.

Chiaro che l’indipendentismo ha voluto allargare il processo a personalità esterne per aumentare i propri margini di manovra, ma se davvero si tratterà solo di discutere le modalità di consegna dell’arsenale di ETA, del suo scioglimento e qualche gesto nei confronti dei reclusi del gruppo (molti dei quali avevano anticipato la richiesta di fine del conflitto), ne sarà valsa senz’altro la pena.

Le principali forze politiche nazionali (PSOE e PP) avevano da tempo richiesto a ETA di compiere questo passo. Adesso che è stato fatto, pur con alcuni distinguo di troppo, sarebbe un errore voler strafare ed emarginare completamente gli indipendentisti, che come abbiamo visto rappresentano una parte importante, anche se non maggioritaria, dell’elettorato basco. Una volta finita la lotta armata (e saranno necessarie adeguate garanzie che la promessa si compia davvero), c’è ovviamente posto nel panorama democratico iberico per chi rivendica l’indipendenza di Euskadi per via pacifica.

Il rischio è che il PP, che assumerà il governo della nazione il 20 novembre, sia ostaggio della propria visone negazionista dell’indipendentismo basco: se è doveroso il massimo rigore nei confronti della violenza, sarebbe illegittimo negare agli indipendentisti diritto di cittadinanza democratica nella nuova situazione. Farlo vorrebbe dire perdere l’occasione storica della pace nei Paesi Baschi, un conflitto che ha ucciso 829 persone negli ultimi quarant’anni.

D’altro canto, bisogna dare atto al presidente uscente Zapatero e al candidato socialista Perez Rubalcaba, gestore del dossier basco in questi anni, d’aver ottenuto un risultato storico nel corso dei mandati socialisti. Se il PSOE è destinato a passare all’opposizione per i pessimi risultati economici ottenuti, sarebbe ingiusto non accreditare al suo attivo questo grandissimo risultato, che è il grande lascito storico di un leader peraltro molto bistrattato. Non basterà certo per cambiare l’esito delle prossime elezioni, ma molte accuse in materia formulate dal PP (connivenza tra PSOE e ETA) si dimostrano infondate e ingenerose.

ETA sconfitta significa che l’indipendentismo rinuncia definitivamente alla via violenta (era ora!) e pretende di entrare con forza nelle istituzioni elettive spagnole nelle prossime elezioni di novembre. Naturalmente ciò avverrà, ed è importante che il drappello di deputati di Bildu rispetti pienamente le regole del gioco, senza intestardirsi in comportamenti settoriali e plateali (tipo non giurare sulla Costituzione spagnola o usare la lingua basca nei dibattiti parlamentari). E soprattutto che svaniscano ambiguità di linguaggio che ancora persistono (le conseguenze del conflitto?).

Il comunicato finale di ETA (http://politica.elpais.com/politica/2011/10/20/actualidad/1319131779_738058.html ) non formula nemmeno mezza scusa nei confronti delle vittime del terrorismo e dei loro familiari, rimane molto ambiguo sul dopo e non garantisce su molti aspetti del processo di pace, ma va comunque preso per buono.

Quei cappucci e quel pugno alzato, invece, (http://www.elpais.com/global/) sono di troppo, sono fuori dalla storia e inadeguati al momento.

La cautela è d’obbligo, ma quest’annuncio apre comunque prospettive che vanno incoraggiate e non frustrate. Non dimentichiamo che quest’anacronistico conflitto era l’ultima lotta armata in seno all’Unione Europea.

Per un excursus più completo sulle radici del conflitto basco, vedasi anche ( http://stefanogatto.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=90%3Ala-rottura-della-tregua-di-parte-di-eta-ed-il-rebus-basco&catid=51&Itemid=37&lang=es )

Stefano Gatto, 20 ottobre 2011.

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